Credito #2 (ricchezza sociale)

In che cosa si distinguono l’oro e l’argento dalle altre forme di ricchezza? Non per la grandezza del valore, tale grandezza essendo determinata dalla quantità di lavoro che vi si trova oggettivato. Ma come incarnazioni autonome, espressioni del carattere sociale della ricchezza. [La ricchezza della società esiste soltanto come ricchezza dei singoli, che ne sono i proprietari privati. Essa si presenta come sociale solo per il fatto che questi singoli individui, al fine di soddisfare i loro bisogni, si scambiano fra di loro valori d’uso qualitativamente diversi. Nella produzione capitalistica essi possono farlo soltanto per mezzo del denaro. Così, soltanto per mezzo del denaro la ricchezza del singolo viene realizzata come ricchezza sociale; in questa cosa che è il denaro, è materializzata la natura sociale di questa ricchezza. – f.e.].

Questa sua essenza sociale appare come qualcosa al di fuori, come cosa, oggetto, merce, accanto e al di fuori degli elementi effettivi della ricchezza sociale. Fino a che la produzione è in movimento, questo aspetto viene dimenticato. Il credito, anch’esso forma sociale della ricchezza, soppianta il denaro e ne usurpa il posto. È la fiducia nel carattere sociale della produzione, che fa apparire la forma monetaria dei prodotti esclusivamente come qualcosa di passeggero e ideale, come semplice rappresentazione. Ma, non appena il credito viene scosso – e questa fase si presenta immancabilmente nel ciclo dell’industria moderna – qualsiasi ricchezza reale deve essere trasformata concretamente e improvvisamente in denaro, in oro e in argento, una pretesa assurda che deriva però necessariamente dal sistema stesso.

La crescente concentrazione [di capitale] provoca, non appena abbia raggiunto un certo livello, una diminuzione del saggio di profitto [saggio di plusvalore calcolato in rapporto al capitale complessivo, costante e variabile]. La massa dei piccoli capitali frantumati viene così trascinata sulla via delle avventure; speculazione imbrogli creditizi ed azionari, crisi.

Quando si parla di pletora di capitale ci si riferisce sempre o quasi sempre, in sostanza, alla pletora di capitale per il quale la caduta del saggio di profitto non è compensata dalla sua massa – e questo avviene sempre nel caso di nuovi capitali di formazione derivata – od alla pletora che questi capitali, incapaci di operare per proprio conto, mettono, sotto forma di credito, a disposizione dei dirigenti delle grandi imprese. Questa pletora di capitale è determinata dalle medesime circostanze che provocano una sovrappopolazione relativa e ne costituisce quindi una manifestazione complementare, quantunque i due fenomeni si trovino ai poli opposti, capitale inutilizzato da una parte e popolazione operaia inutilizzata dall’altra. “Si sono venuti creando estesi crediti fittizi in conseguenza delle cambiali di comodo e del credito in bianco, fenomeno questo che è stato molto facilitato dal comportamento delle banche per azioni di provincia, che scontavano tali cambiali e poi le lasciavano riscontare dai bill brokers sul mercato londinese; in tale transazione, ciò che contava era unicamente il cre-dito della banca, mentre la qualità della cambiale veniva completamente trascurata” [Bank committee, 1858].

Il depositante rurale crede di affidare i suoi depositi semplicemente al suo banchiere e pensa inoltre che il banchiere, se concede dei prestiti, lo faccia soltanto a privati di sua conoscenza. Egli non immagina neppure lontanamente che il banchiere pone il suo deposito a disposizione di un bill broker londinese, sulle cui operazioni né lui né il depositante possono esercitare alcun controllo.

Funzione del credito nella produzione capitalistica

I. Formazione necessaria del credito come mezzo per attuare il livellamento del saggio di profitto, oppure il movimento di questo livellamento, su cui si fonda l’intera produzione capitalistica.

II. Riduzione dei costi di circolazione.

1. Uno dei principali costi di circolazione è rappresentato dal denaro stesso, come valore in sé: Esso viene economizzato, mediante il credito, in triplice maniera. A. viene completamente reso superfluo in una gran parte delle transazioni. B. Perché si accelera la circolazione del medio circolante. C. Sostituzione della moneta aurea con la carta.

2. Il credito accelera le diverse fasi della circolazione o della metamorfosi delle merci, ossia della metamorfosi del capitale e quindi accelera il processo della riproduzione in generale.

III. Formazione di società per azioni. Donde:

1. Ampliamento enorme della scala della produzione… [trasformazione delle] imprese governative [in] sociali.

2. Il capitale… acquista qui direttamente la forma di capitale sociale (capitale di individui direttamente associati) contrapposto al capitale privato. È la soppressione del capitale come proprietà privata nell’ambito del modo di produzione stesso.

3. Trasformazione del capitalista realmente operante in semplice dirigente, amministratore di capitale altrui e dei proprietari di capitale in puri e semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari.

Il credito permette al singolo capitalista di disporre completamente, entro certi limiti, del capitale e della proprietà altrui, e per conseguenza del lavoro altrui. La possibilità di disporre del capitale sociale che non gli appartiene gli permette di disporre del lavoro sociale. Se il credito appare come la leva principale della sovrapproduzione e della sovraspeculazione nel commercio, ciò avviene soltanto perché il processo di produzione, che per sua natura è elastico, viene qui spinto al suo estremo limite, e vi viene spinto proprio perché una gran parte del capitale sociale viene impiegato da quelli che non ne sono proprietari, i quali, quando operano personalmente, hanno paura di superare i limiti del proprio canale privato. Da ciò risulta chiaro soltanto che la valorizzazione del capitale, fondata sul carattere antagonistico della produzione capitalistica, permette l’effettivo libero sviluppo soltanto fino a un certo punto, quindi costituisce di fatto una catena e un limite immanente della produzione, che viene costantemente spezzato dal sistema creditizio. Il sistema creditizio affretta dunque lo sviluppo materiale delle forze produttive e la formazione del mercato mondiale, che il sistema capitalistico di produzione ha il compito storico di costituire, fino a un certo grado, come fondamento materiale della nuova forma di produzione. Il credito affretta al tempo stesso le eruzioni violente di questa contraddizione, ossia le crisi e quindi gli elementi di disfacimento del vecchio sistema di produzione.

Ecco i due caratteri immanenti al credito: da un lato esso sviluppa la molla della produzione capitalistica, cioè l’arricchimento mediante lo sfruttamento del lavoro altrui, fino a farla diventare il più colossale sistema di giuoco e d’imbroglio, limitando sempre più il numero di quei pochi che sfruttano la ricchezza sociale; dall’altro lato esso costituisce la forma di transizione verso un nuovo sistema di produzione. È questo duplice carattere che fa di ognuno dei principali araldi del credito, da Law fino a Isaac Pereire, uno strano miscuglio tra il ciarlatano e il profeta.

Il sistema creditizio che ha come centro le pretese banche nazionali e i potenti prestatori di denaro, e gli usurai che pullulano attorno ad essi, rappresenta un accentramento enorme e assicura a questa classe di parassiti una forza favolosa, tale non solo da decimare periodicamente i capitalisti industriali, ma anche da intervenire nel modo più pericoloso nella produzione effettiva – e questa banda non sa nulla della produzione e non ha nulla a che fare con essa.

Chiunque ancora mettesse in dubbio che questi rispettabili banditi sfruttano la produzione nazionale e internazionale soltanto nell’interesse della produzione e degli sfruttati stessi, costui sarà certamente un po’ meglio istruito dal seguente sermone sull’alta dignità morale del banchiere: “Gli istituti bancari sono istituzioni religiose e morali. Quante volte la paura di essere visti dall’occhio attento e ammonitore del suo banchiere non ha distolto il giovane commerciante dalla compagnia di amici agitati e dissoluti? Quanto si preoccupa di godere buona reputazione presso il banchiere, di apparirgli sempre ineccepibile? Un aggrottamento di ciglia del banchiere ha su di lui un effetto maggiore delle prediche morali dei suoi amici; non trema egli al pensiero di poter essere sospettato colpevole di un inganno o della più piccola affermazione inesatta, per timore che ciò possa provocare diffidenza e quindi una restrizione o una sospensione del suo credito bancario? Il consiglio del banchiere è per lui più importante di quello del sacerdote” [G.M. Bell, direttore di banca scozzese: The philosophy of joint stock banking, Londra 1840].

[k.m.]

(da Il capitale, III, 1, 2)