Corporativismo

Il corporativismo storico - È una dottrina politica elaborata dai teorici dello stato fascista o nazionalsocia­lista, e costituisce il fondamento ideologico di quella parte del diritto [<=] pubblico che, in queste forme totalitarie di stato, prevede una disciplina organica delle forze produttive. L’ideologia corporativa fascista e nazionalsocialista assume le forze produtti­ve come entità omogenee sotto il profilo sociale e merceologico e in ordine al supremo interesse della potenza nazionale. Il diritto corporativo fascista o na­zionalsocialista disciplina le forze produttive in quanto corpora, corpi, corpo­razioni cui si attribuiscono funzioni costituzionali di carattere normativo, con­sultivo, conciliativo, e i cui millantati ascendenti sono i collegia romani e le corporazioni medievali. La corporazione nazifascista associa, per rimozione ideologica della realtà storica della lotta fra le classi [<=], e per coazione giuridico-militare, lavoratori e proprietari all’interno di ciascun settore della produzione.

Nell’Italia fascista i sindacati corporativi (che organizzano in linee verticali di continuità padroni e lavoratori) dettano i contratti collettivi di lavoro [<=], la Ma­gistratura del lavoro previene o risolve i conflitti di lavoro, il Consiglio nazio­nale delle corporazioni ha funzioni consultive e normative in materia di poli­tica e diritto del lavoro. Il divieto di sciopero, sanzione giuridica necessaria di una violenza effettiva contro un’attività sociale reale, è ideologicamente pareggiato dal divieto di serrata, sanzione giuridica superflua di una contromisura padronale resa non necessaria dalla diretta repressione statale dello sciopero. Fine politico del corporativismo è la potenza della nazione [<=], cioè la potenza dei proprietari e funzionari del capitale e dei loro commessi politici. Nel diritto pubblico corporativo: a) la funzione normativa attribuita agli or­gani corporativi costituzionalmente rilevanti fornisce una base giuridica al pieno e arbitrario comando dei proprietari e funzionari del capitale sulla for­za-lavoro [<=]; b) la funzione consultiva è il risvolto dello spionaggio sociale su scala allargata, avente come scopo la prevenzione delle iniziative delle classi subalterne; c) la funzione conciliativa attua una delle modalità di repressio­ne, sul nascere o in itinere, di ogni tentativo collettivo o individuale di resi­stenza all’arbitrio padronale.

Il corporativismo secondo l’attuale sindacalismo confederale - In una prima fase – che si esaurisce intorno alla metà degli anni Ottanta e nel­la quale il sindacalismo triconfederale esprime ancora in qualche misura, sia pure decrescente, le rivendicazioni economiche dei lavoratori – gli apparati confederali e di categoria definiscono “corporative” quelle lotte per il salario [<=] che i lavoratori di determinate categorie, settori, aziende conducono o tentano di condurre al di fuori del controllo che gli apparati stessi esercitano su ob­biettivi, tempi, forme delle rivendicazioni.

Dalla metà degli anni Ottanta a oggi, il sindacalismo triconfederale riconduce alla nozione di “corporativismo” la lotta economica, tout court, dei lavoratori (i quali possono condurla con qualche credibilità e utilità di obbiettivi, tempi, forme solo a condizione di mettersi al di fuori del controllo degli apparti con­federali e di categoria, dal momento che il sindacalismo triconfederale non è stato nemmeno in grado di resistere alle piattaforme rivendicative presentate dal padronato sulla “scala mobile” e sugli altri aspetti del “costo del lavoro”, né di liberare i lavoratori dai lacci e lacciuoli che il padronato ha imposto alla con­trattazione collettiva nazionale e a quella integrativa – ridotta la prima a mar­ginale copertura di un rito, la seconda a nulla). Questa nozione triconfederale di “corporativismo” non ha riscontro né nella storia politica né in quella della letteratura teorica, e dunque fa violenza non solo e non tanto ai lavoratori – cosa non grave, dato che i lavoratori non sono la principale preoccupazione dei soprastanti politici e sindacali – ma anche e sopratutto all’epistème, altro nome della scienza cara ai moderni o antifilo­sofi dolci e forti, ai teorici dell’economia politica, ai loro apprendisti stregoni e a tutti i tardivi parvenus dell’imperante scientismo dei contabili.

Il corporativismo secondo noi - Il corporativismo è una forma di repressione del conflitto sociale sul versante dei dominati. Il conflitto fra le classi esclude il corporativismo, come il due esclude l’uno. Vice versa: il corporativismo, forma di lotta dei dominanti contro i dominati – ridotti questi, coattivamente o suasivamente, all’inerzia – esclude il conflitto fra le classi, come l’uno esclude il due. Questa vicenda rovesciata che è la lotta corporativa (e dunque unilaterale) di una classe contro l’altra, dei dominanti contro i dominati, mira ad assicurare ai primi l’uso discrezionale del lavoro dei secondi, del quale si vuole determi­nare, appunto unilateralmente, il prezzo, la quantità, l’organizzazione. Il corporativismo storico (fascista e nazista) raggiunge questi risultati attra­verso la forza armata dei corpi militari e paramilitari dello stato e della classe dominante, sotto la copertura del diritto corporativo che a sua volta ha trovato nella violenza di quei corpi la sua fonte storica. Il corporativismo contemporaneo, o “neocorporativismo” [<=], persegue gli stessi scopi del corporativismo storico, ma se ne differenzia sotto il triplice profilo della giustificazione ideologica, delle forme di repressione, dell’organizzazio­ne del lavoro.

Ideologia. Al punto di vista della potenza della nazione subentra il punto di vista dell’economia nazionale; all’ideologia del mercato [<=] nazionale subentra lo scientismo del modo capitalistico di produzione in epoca di formazione del mercato mondiale.

Repressione. Alla forza militare subentra l’imposizione politica, istituzionale, burocratica di un concerto preventivo sulla politica economica fra proprietari e centrali sindacali, con la mediazione del governo. Il dissenso e la resistenza dei dominati sono impediti o ostacolati per tre vie: burocrazia sindacale e iso­lamento dei lavoratori all’interno di settori, aziende, reparti; monopolio isti­tuzionale delle libertà sindacali e del diritto di sciopero; inibizione di fatto dell’esercizio di questo diritto anche attraverso la sua limitazione legislativa.

Organizzazione del lavoro. Il tipo di organizzazione del lavoro in regime neo­corporativo tende a sostituire alla solidarietà di classe l’appartenenza di cor­po, dove il corpo è l’individuo, la squadra, l’impresa (concentriche matrjoske a loro volta contenute in altre di dimensioni via via crescenti: il settore, l’eco­nomia nazionale, il mercato mondiale, il modo capitalistico di produzione come categoria dello spirito). Tra i fattori che, dal punto di vista dell’organiz­zazione del lavoro, concorrono a costituire l’appartenenza di corpo, tre sono più importanti degli altri:

- la nuova professionalità [<=] di massa rapidamente differenziabile mediante ad­destramento, donde la sostituzione del residuale principio di competenza con il prevalente principio di vigilanza nella formazione delle carriere e della ge­rarchia aziendale;

- la tendenza a estendere la parte variabile della retribuzione a danno di quella fissa e in dipendenza da indici di redditività, e insomma a trasformare la retri­buzione oraria in retribuzione a cottimo [<=], e il cottimo individuale in un cotti­mismo collettivo che stimola nei lavoratori la concorrenza e il controllo reci­proci;

- la sottomissione diretta anche del lavoro mentale (in aggiunta a quello mu­scolare) al ciclo produttivo, grazie soprattutto all’introduzione dei sistemi elettronici e informatici che fra l’altro, accrescendo l’isolamento tra le man­sioni divise, accentuano vocazioni di responsabilità e di promozione indivi­duali.

Nel corporativismo storico il lavoro fa corpo col capitale per forza senza amore. Nel neocorporativismo il lavoro fa corpo col capitale per amore e per forza: l’amore del diritto e della politica tende a diventare forza della burocrazia e poi forza della provocazione e della “strategia della tensione” a mano a mano che il costo sociale delle politiche neocorporative supera la soglia della tolle­rabilità e del consenso popolari. Di qui si può regredire al corporativismo fa­scista.

[gf.c.]