Cooperative #2 (produzione associata)

Nel mercato mondiale [<=] capitalistico prevale il conflitto tra grande capitale monopolistico finanziario e il resto dell’apparato economico (capitale minore, separato o artigianale, cooperative, ecc.). Il sistema delle cooperative [<= # 1] – e più specificamente delle cooperative di produzione, non quello ridotto (riformista) delle cooperative di consumo, concettualmente non antagonistiche – assume un significato differente in un contesto non più dominato dal modo di produzione capitalistico, in particolare nella transizione socialista. La differenza contestuale fa cambiare completamente l’impostazione del problema e la portata delle sue conseguenze. La prospettiva della produzione associata nelle cooperative muta completamente se deve o non deve fare i conti con il predominio del mercato (mondiale) dei capitali. È determinante la differenza specifica che può e deve svolgere il cooperativismo nella semplice prospettiva di rimanere entro il modo di produzione capitalistico o in quella, assai più complicata, di capovolgerlo. Evidente è perciò la funzione che non possono non avere le cooperative nella lotta di classe [<=], ben oltre quella solo prefigurante della produzione materiale.

Anche il credito [<=] che è fondamentale per gli sviluppi di entrambe le strutture – imprese capitalistiche, soprattutto nella forma delle spa [<=] e cooperative – ha destinazioni quasi opposte. Se le cooperative hanno a che fare con il sistema bancario, col capitale monetario e delle merci, rimangono schiacciate e, da sole, non sono in grado di rovesciare il sistema dominante. “Il sistema creditizio – sostiene Marx a proposito della funzione del credito – come forma la base principale per la graduale trasformazione delle imprese private capitalistiche in società per azioni [<=] capitalistiche, così offre il mezzo per la graduale estensione delle imprese cooperative su scala più o meno nazionale”. E osserva quanto ripetutamente espresso sulla differenza tra spa e cooperative: “le imprese azionarie capitalistiche sono da considerarsi, al pari delle fabbriche cooperative, come forme di passaggio dal modo di produzione capitalistico a quello associato, con l’unica differenza che nelle prime l’antagonismo è stato eliminato in modo negativo, nelle seconde in modo positivo”.

Nel sistema capitalistico – e in misura crescente via via che si sviluppano le spa – l’espropriazione della maggioranza (i lavoratori produttori) si presenta come appropria­zione (in forma privata) della proprietà sociale da parte di pochi individui. È bene sottolineare che la produzione, come nelle spa, anche nelle fabbriche cooperative conserva la propria forma privata: ma, in entrambi i casi, codesta forma “privata” non è più “individuale” ma collettiva, di classe (borghese la prima, proletaria la seconda, ed è ciò che qui interessa). Essa, infatti, implica una connotazione “sociale” che, come tale, anticipa – ma prepara soltanto – il superamento del modo di produzione capitalistico stesso. Se non muta il modo di produzione, è perciò prima o poi impossibile, anche per la cooperative, non diventare imprese come le altre. Era opinione anche di Lenin che il pieno funzionamento della produzione e dello scambio futuri possa essere appena preparato dalle cooperative, ma effettualmente “potrà aver luogo solo dopo l’espropria­zione dei capitalisti”.

Le cooperative dei lavoratori, perciò, come detto in “positivo” – precisa ancora Marx – “sono, entro la vecchia forma, il primo segno di rottura della vecchia forma, sebbene esse dappertutto riflettano e debbano riflettere, nella loro organizzazione effettiva, tutti i difetti del sistema vigente. Ma l’antagonismo tra capitale e lavoro è abolito all’interno di esse, anche se dapprima soltanto nel senso che i lavoratori, come associazione, sono capitalisti di loro stessi, cioè impiegano i mezzi di produzione per la valorizzazione del proprio lavoro”. È così che le cooperative di produzione “dimostrano” – e non possono far altro che dimostrare – come sia possibile che, “a un certo grado di sviluppo delle forze produttive materiali e delle forme sociali a esse corrispondenti, si formi e si sviluppi naturalmente da un modo di produzione un nuovo modo di produzione”.

Come altrove spiegato, in tutte le condizioni “sociali” della produzione il capitalista in quanto tale può scomparire dal processo di produzione come personaggio su­perfluo; rimane unicamente il dirigente [<=] come “fun­zionario” (del resto, lo stesso borghese, raggiunto il sufficiente sviluppo storico e culturale – la coscienza [<=] della propria classe – aveva considerato “superfluo” il proprietario terriero). Così, con lo sviluppo delle cooperative da parte dei lavoratori, al pari (ma all’opposto) di quello delle società per azioni da parte della borghesia, viene meno anche l’ultimo pretesto per confondere il profitto d’impresa – che l’economia tenta di commisurare all’attività e non alla proprietà – col salario di direzione, poiché è inutile che questo lavoro di direzione venga esercitato dal capitalista.

La classe proletaria, pervenendo alla produzione associata, svela così il carattere di oggettiva socializzazione nascosto anche nella produzione capitalistica. Ma non può mai farlo assurgere a forma dominante (in ogni variante, dal volontariato alla solidarietà, dall’utilità immediata a qualsivoglia fuoriuscita dal mercato) finché rimanga entro il sistema mondiale del capitale. Antonio Gramsci, nel 1921, ammoniva che “i riformisti portano come "esemplare" il socialismo reggiano” perché “vorrebbero far credere che l’Italia e tutto il mondo può diventare una sola grande Reggio Emilia”, dove, appunto, l’esperienza mutualistica di quel “socialismo”, se guardata con occhi disincantati, mostrava già tutti i segni del fallimento, ossia del suo pieno inserimento nel si­stema capitalistico. Lenin metteva “in guardia contro le illusioni cooperativistiche”, poiché, le cooperative non essendo affatto organizzazioni di classe, se non se spiega bene il carattere di proprietà privata (che permane sempre, seppure collettiva), è inevitabile prendere una strada sbagliata.

[gf.p.]