Aristocrazia Finanziaria

Aristocrazia finanziaria
Quando non regna la borghesia, ma una frazione di essa, i banchieri, i re della borsa – la cosiddetta aristocrazia finanziaria – questa dètta leggi nelle Came­re, distribuisce gli incarichi dello stato, dal ministero allo spaccio dei tabac­chi. La borghesia industriale propriamente detta forma una parte dell’opposi­zione ufficiale, è cioè rappresentata nelle Camere solo come minoranza. Sotto il nome di aristocrazia della finanza non si devono comprendere soltanto i grandi imprenditori di prestiti e gli speculatori sui titoli di stato, l’interesse dei quali, non occorre dirlo, coincide con l’interesse del potere. Tutto il mo­derno traffico del denaro, tutta l’economia della banca, è intimamente legata al credito pubblico. Se in ogni tempo la stabilità del potere è stata “la legge e i profeti” del mercato monetario e dei suoi pontefici, ciò è tanto più vero oggi in cui ogni diluvio minaccia di inghiottire tutti gli antichi debiti di stato insie­me con i vecchi stati. Tutto mostra come la repubblica, a partire dal primo giorno della sua esistenza, non abbatta ma consolidi l’aristocrazia finanziaria. Ma le concessioni che si fanno a quest’ultima sono un destino a cui il governo si sottomette, senza il proposito di suscitarlo.
Qual è la causa del fatto che il patrimonio dello stato cade nelle mani dell’alta finanza? È l’indebitamento continuamente crescente dello stato. E quale è la causa dell’indebitamento dello stato? È la permanente eccedenza delle sue spese sulle sue entrate, sproporzione che è nello stesso tempo la causa e l’ef­fetto del sistema dei prestiti di stato. L’indebitamento dello stato è, al contra­rio, l’interesse diretto dell’aristocrazia finanziaria quando governa e legifera per mezzo delle Camere; il disavanzo dello stato è infatti il vero e proprio og­getto della sua speculazione [?] e la fonte principale del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offre all’aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo stato che, man­tenuto artificialmente sull’orlo della bancarotta, è costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito è una nuova occasione di svaligiare il pubblico, che inve­ste i suoi capitali in rendita dello stato, mediante operazioni di borsa al cui segreto sono iniziati il governo e la maggioranza della Camera. In generale, la situazione instabile del credito pubblico e il possesso dei segreti di stato of­frono ai banchieri e ai loro affiliati nelle Camere e al governo la possibilità di provocare delle oscillazioni straordinarie, improvvise, nel corso dei titoli di stato: e il risultato costante di queste oscillazioni non può essere altro che la rovina di una massa di capitalisti più piccoli e l’arricchimento favolosamente rapido dei giocatori in grande.
Le enormi somme che in tal modo passano per le mani dello stato danno inol­tre l’occasione a contratti d’appalto fraudolenti, a corruzioni, a malversazioni, a bricconate di ogni specie. Lo svaligiamento dello stato, che si fa in grande con i prestiti, si ripete al minuto nei lavori pubblici; i rapporti tra la Camera e il governo si moltiplicano sotto forma di rapporti tra amministrazioni singole e singoli imprenditori. L’indebitamento dello stato è una necessità, e con l’indebitamento dello stato è una necessità il dominio del commercio dei debiti dello stato [?], il dominio dei creditori dello stato, dei banchieri, dei cambiavalute, dei lupi della borsa. Solo una frazione del “partito dell’ordine” prende parte all’abbattimento dell’ari­stocrazia finanziaria: gli industriali. Non parliamo dei medi, dei piccoli indu­striali: parliamo dei prìncipi della fabbrica. Il loro interesse consiste indubbia­mente nella diminuzione dei costi di produzione, dunque nella diminuzione delle imposte [?] che entrano nella produzione; cioè nella diminuzione dei debiti dello stato, i cui interessi si trasformano nelle imposte; cioè nell’abbattimento dell’aristocrazia finanziaria.
Le camere addossano allo stato i carichi principali e assicurano la manna do­rata all’aristocrazia finanziaria speculatrice. Sono nella memoria di tutti, gli scandali che scoppiano alla Camera dei deputati quando il caso fa venire a galla che tutti quanti i membri della maggioranza, compresa una parte dei ministri, partecipano come azionisti a quelle medesime attività che essi fanno poi, come legislatori, eseguire a spese dello stato. Non vi è testimonianza più eloquente del fanatismo, con cui il governo si accinge a questo còmpito, dei suoi provvedimenti finanziari. Il credito pubblico e il credito privato sono na­turalmente scossi. Il credito pubblico riposa sulla fiducia che lo stato si lasci sfruttare dagli strozzini della finanza. Il credito privato è paralizzato, la circo­lazione [?] impedita, la produzione arenata. Il credito pubblico e il credito privato sono il termometro economico col quale si può misurare l’intensità di una cri­si [?].
Il governo vuole spogliarsi dell’apparenza antiborghese. Perciò deve innanzi­tutto cercare di assicurare il valore di scambio di questa nuova forma dello stato: il suo corso in borsa [?]. Col salire della quotazione dello stato in borsa, deve necessariamente rialzarsi il credito privato. La prosopopea borghese e la sicurezza di sé dei capitalisti si ridestano d’un tratto, quando vedono la preci­pitazione timorosa con cui si cerca di comperare la loro fiducia. Naturalmente le difficoltà pecuniarie del governo non sono per nulla diminuite da colpi di scena che gli sottraggono denaro contante disponibile. Il disagio finanziario non può più a lungo essere dissimulato, e piccoli borghesi, artigiani, operai, devono pagare la gradita sorpresa offerta ai creditori dello stato. È il modo di mettere contro il governo il piccolo borghese, già in cattive acque anche sen­za di ciò.
Mentre l’aristocrazia finanziaria fa le leggi, dirige l’amministrazione dello stato, dispone di tutti i pubblici poteri organizzati, domina l’opinione pubblica con i fatti e con la stampa [?], in tutti gli ambienti si spande l’identica prostitu­zione [?], l’identica frode svergognata, l’identica smania di arricchirsi non con la produzione, ma rubando ricchezze altrui già esistenti. Alla sommità stessa della società borghese trionfa il soddisfacimento sfrenato, in urto con le stesse leggi borghesi, degli appetiti malsani e sregolati in cui logicamente cerca la sua soddisfazione la ricchezza scaturita dal gioco, in cui il godimento diventa gozzoviglia, il denaro, il fango e il sangue scorrono insieme. L’aristocrazia finanziaria, nelle sue forme di guadagno come nei suoi piaceri, non è altro che la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese.
[k.m.]
(dagli scritti di Marx sul 1848 francese: Lotte di classe, 18 brumaio, Guer­ra civile)