Alleanze #1 - (rovina di proletariato e classi medie)

Alleanze #1
(rovina di proletariato e classi medie)
In quanto la divisione del lavoro nella fabbrica automatica riappare, essa è in primo luogo distribuzione dei lavoratori fra le macchine specializzate e distribuzione di masse operaie le quali tuttavia non costituiscono gruppi articolati, fra i vari reparti della fabbrica dove esse lavorano a macchine utensili omogenee giustapposte, dove quindi si ha soltanto una cooperazione semplice tra i lavoratori. Il gruppo articolato della manifattura è sostituito dal nesso tra lavoratore capo e alcuni pochi aiutanti. La distinzione sostanziale è quella tra i lavoratori i quali sono realmente occupati alle macchine utensili e i semplici manovali. Oltre a queste classi principali si ha un personale numericamente insignificante che si occupa del controllo del macchinario nel suo insieme e della sua costante riparazione, come ad es. ingegneri, meccanici, falegnami, ecc. Si tratta di una classe operaia superiore, in parte scientificamente istruita, in parte di tipo artigiano, che è al di fuori della sfera degli operai di fabbrica ed è soltanto aggregata ad essi.
È caratteristico che la legislazione inglese sulle fabbriche escluda espressamente dal suo raggio d’azione i lavoratori ricordati qualificandoli come non lavoratori di fabbrica, e che d’altra parte i rapporti pubblicati dal parlamento includano nella categoria dei lavoratori di fabbrica – altrettanto espressamente – non solo ingegneri, meccanici, ecc, ma anche dirigenti di fabbrica, commessi, fattorini, sorveglianti di magazzino, imballatori, ecc., in breve tutti a eccezione del proprietario di fabbrica in persona.
Questa divisione del lavoro è puramente tecnica. Ogni lavoro alla macchina richiede che il lavoratore sia addestrato molto presto affinché impari ad adattare il proprio movimento al movimento uniforme e continuativo di una macchina automatica. In quanto il macchinario complessivo costituisce esso stesso un sistema di molteplici macchine che operano simultaneamente e combinate, anche la cooperazione basata su di esso richiede una distribuzione di differenti gruppi di lavoratori tra le differenti macchine.
Senonché il funzionamento a macchina elimina la necessità di consolidare questa distribuzione come accadeva per la manifattura, mediante l’appropriazione permanente dello stesso lavoratore alla stessa funzione. Ora, benché il macchinario butti tecnicamente per aria il vecchio sistema della divisione del lavoro, in un primo tempo questo sistema si trascina nella fabbrica per consuetudine come tradizione della manifattura, per essere poi riprodotto e consolidato sistematicamente dal capitale quale mezzo di sfruttamento della forza-lavoro in una forma ancor più schifosa. Dalla specialità di tutt’una vita, consistente nel maneggiare uno strumento parziale, si genera la specialità di tutt’una vita, consistente nel servire una macchina parziale. Qui, come dappertutto, si deve distinguere tra maggiore produttività dovuta allo sviluppo del processo sociale di produzione e la maggiore produttività dovuta al suo sfruttamento capitalistico.
Il possesso dei mezzi di produzione da parte dei singoli produttori oggigiorno non fornisce loro più alcuna libertà reale. L’artigianato nelle città è già andato in rovina, nelle metropoli esso è addirittura già del tutto scomparso, sostituito dalla grande industria, dallo sfruttamento del lavoro a domicilio con il sistema del cottimo (sweat system) e da miserabili personaggi che vivono della bancarotta.
Il piccolo contadino che coltiva personalmente la propria terra non ne ha una proprietà sicura e non è libero. Egli stesso, al pari della sua casa, della sua proprietà e dei suoi campi, è nelle mani degli usurai; la sua esistenza è più malsicura di quella del proletario, che almeno di tanto in tanto ha una giornata libera, cosa che al martoriato schiavo dei propri debiti non accade mai.
In tal modo il contadino cade sempre più in basso. Le imposte, il cattivo raccolto, le divisioni ereditarie, i processi spingono un contadino dopo l’altro dall’usuraio, l’indebitamento diviene sempre più generale e sempre più grave per ogni singolo; in breve, il nostro piccolo contadino – al pari di ogni altra sopravvivenza di un modo di produzione ormai superato – è irrimediabilmente destinato a sparire. Egli è il futuro proletario. In quanto tale dovrebbe prestare l’orecchio alla propaganda socialista. Per il momento il suo senso della proprietà ancora profondamente radicato gli impedisce però di farlo. Quanto più la lotta per il suo pezzetto di terra minacciato si fa difficile, e tanto più disperatamente egli vi si aggrappa, tanto più egli vede nel socialismo che parla di trapasso della proprietà terriera nelle mani della collettività, un nemico altrettanto pericoloso quanto l’usuraio e l’avvocato.
La forma di produzione capitalistica ha tagliato il nervo vitale alla piccola azienda contadina; essa sta irreversibilmente decadendo e deperendo. La concorrenza [mondiale] ha inondato il mercato europeo di grano a buon mercato, tanto a buon mercato che nessun produttore interno è in grado di resistere a quella concorrenza. I grandi proprietari e i piccoli contadini si vedono entrambi destinati a scomparire. E poiché entrambi sono proprietari di terre e gente di campagna, il grande proprietario terriero si erge ad assertore degli interessi del piccolo contadino, e il piccolo contadino nell’insieme accetta questa tutela. I piccoli contadini sentono per ora l’a­spirazione a diventare proprietari; ma non appena lo diventano, le ipoteche li rovinano di nuovo. Questo però non significa che non dobbiamo aiutarli a liberarsi dai proprietari fondiari, cioè a passare da una condizione semifeudale a una capitalistica. Le masse sono dalla parte loro, mentre le organizzazioni e l’“aristocrazia operaia” seguono la borghesia liberale, e non fanno un passo di più.
Parlando di piccoli contadini, qui ci riferiamo al proprietario o fittavolo – particolarmente al primo – di un pezzetto di terra, non più grande di quello che di regola egli è in grado di lavorare assieme alla sua famiglia, e grande abbastanza per nutrirla. Questo piccolo contadino, al pari del piccolo artigiano, è dunque un lavoratore che si differenzia dal moderno proletario per il fatto di essere ancora proprietario dei suoi mezzi di lavoro; si tratta quindi di una sopravvivenza di un modo di produzione ormai trascorso. La piccola borghesia ha bisogno di un ordinamento statale democratico, sia esso costituzionale o repubblicano, che dia a lei e ai suoi alleati (i contadini) la maggioranza, e di un ordinamento comunale che le garantisca il controllo diretto della proprietà comunale e le attribuisca una serie di funzioni che ora vengono svolte dai burocrati. Il dominio e il rapido aumento del capitale dovrebbero inoltre essere contrastati in parte attraverso una limitazione del diritto ereditario, in parte attraverso il trasferimento di un numero possibilmente grande di attività allo stato. Riguardo ai lavoratori, è chiaro innanzitutto che debbono restare lavoratori salariati come sono stati finora, tranne che i piccoli borghesi vorrebbero assicurare loro un salario migliore e un’esistenza sicura, cosa che sperano di realizzare attraverso una occupazione parziale da parte dello stato e attraverso misure di beneficenza; in breve essi sperano di corrompere i lavoratori attraverso elemosine più o meno nascoste, e di spezzare la loro energia rivoluzionaria rendendo temporaneamente più sopportabile la loro situazione.
L’impero [francese] aveva rovinato economicamente una parte delle classi medie con lo sperpero delle ricchezze pubbliche, con la speculazione finanziaria su larga scala che esso aveva favorito, con l’impulso dato al­l’accelerazione artificiale della centralizzazione del capitale, e con la conseguente espropriazione di una grande parte di loro. Esso le aveva soppresse politicamente, le aveva moralmente scandalizzate con le sue orge, le aveva offese affidando l’i­struzione dei loro figli ai padri ignorantelli, aveva rivoltato il loro sentimento nazionale. In quasi tutte le branche di lavoro l’artigianato e la manifattura sono stati soppiantati dalla grande industria. A questo modo il “ceto medio” esistente finora, specialmente i piccoli maestri artigiani, si sono sempre più rovinati, le condizioni passate dei lavoratori si sono completamente rovesciate, e sono state create due classi nuove, che a poco per volta inghiottono tutte le altre.
In tutto ciò il problema centrale rimane quello di far comprendere ai contadini che possiamo preservare il loro possesso della casa e dei campi solo trasformandolo in possesso e in impresa cooperativa. È proprio l’eco­nomia individuale determinata dalla proprietà individuale che spinge i contadini alla rovina. Se insistono nel preservare l’impresa individuale, essi verranno inevitabilmente scacciati dalle loro case e dalle loro proprietà, il loro modo di produzione invecchiato verrà sostituito dalla grande impresa capitalistica. Cosi stanno le cose; e a questo punto interveniamo noi e offriamo ai contadini la possibilità di introdurre essi stessi la grande impresa, non per conto del capitalismo, ma per loro proprio conto.
L’attuale depressione commerciale ha colpito il nostro paese più di un paese industriale da lunga data. Perciò la pressione sui lavoratori si è accresciuta. E dicendo lavoratori si intendono lavoratori di tutte le classi. Il piccolo commerciante, rovinato dalla grande impresa commerciale, l’im­piegato, l’artigiano, il lavoratore urbano e quello rurale, tutti cominciano ora a sentire la pressione dell’attuale sistema di produzione capitalistico. E noi additiamo loro una via d’uscita scientificamente fondata. Poiché tutti costoro sanno leggere e sono capaci di pensare in modo indipendente, traggono presto da tutto ciò le giuste conclusioni e si uniscono alle nostre file. La nostra organizzazione è eccellente, essa desta l’ammirazione e la disperazione dei nostri avversari.
Mentre la borghesia di ciascuna nazione conserva ancora interessi nazionali particolari, la grande industria ha creato una classe che ha il medesimo interesse in tutte le nazioni e per la quale la nazionalità è già annullata, una classe che è realmente liberata da tutto il vecchio mondo e in pari tempo si oppone ad esso. Essa rende insopportabile al lavoratore non soltanto il rapporto col capitalista, ma il lavoro stesso. I proletari generati dalla grande industria si pongono alla testa del loro movimento di classe e trascinano con sé tutta la massa, perché i lavoratori esclusi dalla grande industria sono gettati da essa in una condizione di vita ancora peggiore di quella degli stessi lavoratori della grande industria. Allo stesso modo i paesi nei quali è sviluppata una grande industria agiscono sui paesi più o meno privi di industria, nella misura in cui questi sono trascinati dal commercio mondiale nella lotta universale della concorrenza.
La conquista del potere politico da parte della classe operaia conquisterà anche all’istruzione tecnologica teorica e pratica il suo posto nelle scuole dei lavoratori. Non c’è dubbio neppure che la forma capitalistica della pro­duzione e la situazione economica dei lavoratori che le corrisponde siano diametralmente antitetiche a questi fermenti rivoluzionari e alla loro meta, che è l’abolizione della “vecchia” divisione del lavoro. È altrettanto comprensibile che, quando il potere statale sarà nelle nostre mani, non potremo pensare di espropriare forzatamente i piccoli contadini (con o senza indennizzo), come invece siamo costretti a fare con i grandi proprietari terrieri. Il nostro compito nei confronti dei piccoli contadini consiste innanzitutto nel trasferire la loro impresa privata e la loro proprietà pri­vata in un’impresa e in una proprietà cooperativa, non con la forza, ma con l’esempio e offrendo un aiuto sociale a questo fine. E in tal modo disponiamo effettivamente di mezzi a sufficienza per prospettare al piccolo contadino dei vantaggi che già ora gli dovrebbero apparire accettabili.
[f.e.-k.m,]
(brani tratti principalmente da Principi del comunismo, Ideologia tedesca, Lotte di classe in Francia, Il capitale, La questione contadina in Francia e Germania)